Per inquadrare correttamente la problematica, è necessario partire dalla lettura delle norme a tutela della salute dei lavoratori, della libertà d’impresa e della libera determinazione di sottoporsi a qualunque trattamento sanitario da parte di un cittadino, vaccinazione compresa.

  • Gli obblighi del datore di lavoro

L’analisi non può che partire dall’art. 2087 c.c. che impone al datore di lavoro di porre in essere tutte le misure di sicurezza atte a garantire e proteggere i propri dipendenti e collaboratori. In caso di inadempienza il datore rischia, in caso di infortunio e ricordiamo che in alcuni casi il contagio da Covid-19 è assimilato immediatamente ad infortunio sul lavoro, di risponderne civilmente e penalmente. Questo per esempio è il caso delle strutture sanitarie.

La Dir. UE 2020/739 del 3 giugno 2020, per garantire il rigoroso rispetto e l’applicazione delle disposizioni nazionali che recepiscono le norme dell’UE in tema di salute e sicurezza sul lavoro a tutela di tutti i lavoratori contro la pandemia di Covid-19, classifica appunto la SARS-CoV-2 come patogeno per l’uomo del gruppo di rischio 3 ed estende al Covid-19 le misure di prevenzione previste nella Dir. CE 2000/54 dedicata alla protezione dei lavoratori contro i rischi derivanti da un’esposizione ad agenti biologici durante il lavoro e adottate in Italia nel Titolo X del D.Lgs. 81/2008 (TU Sicurezza luoghi di lavoro).

E’ opportuno ricordare come la Dir. UE 2020/739 sia già stata recepita nel nostro Paese con due decreti legge emergenziali (DL 125/2020 e DL 149/2020 rispettivamente convertiti in L.n. 159/2020 e L.n. 176/2020, di conversione del DL 137/2020).

In tema di sicurezza sul luogo di lavoro il datore di lavoro ha come obbligo primario e non delegabile quello della individuazione e valutazione dei rischi (artt. 15 e 17 D.Lgs. 81/2008) e conseguentemente quello di attivare una sorveglianza sanitaria idonea a contrastare i rischi riscontrati e propri dell’attività lavorativa e dell’ambiente in cui la stessa viene svolta. A seguito di ciò, una volta classificato il rischio Covid-19 tra quelli soggetti alle misure di prevenzione e sicurezza che il datore di lavoro è tenuto ad assumere, non possiamo non rilevare come l’art. 279, c. 2 p. a), D.Lgs. 81/2008 imponga al datore di lavoro “la messa a disposizione di vaccini efficaci per quei lavoratori che non sono già immuni all’agente biologico presente nella lavorazione, da somministrare a cura del medico competente”. La circostanza che attualmente la somministrazione dei vaccini sia indisponibile per i privati datori di lavoro impone la lettura della norma nel senso che il datore deve comunque favorire la possibilità per il lavoratore di accedere alla vaccinazione.

Tale obbligo del datore di lavoro trova altresì fondamento nella tutela di rango costituzionale della salute pubblica (art. 32 Cost.). Di contro lo stesso articolo della Costituzione ricorda come “nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge”. E qui il punto. Il datore di lavoro ha l’obbligo di provvedere alle misure di sicurezza ritenute idonee per il lavoratore, i suoi colleghi e le parti terze che possono venire in contatto con il medesimo lavoratore ma allo stesso non può essere somministrato alcun trattamento sanitario senza la volontà del medesimo lavoratore che non sia imposto dalla legge.

In caso di indisponibilità di quest’ultimo alla vaccinazione ci si trova in una situazione di apparente stallo che, a nostro avviso, va valutata caso per caso a seconda dell’attività cui il lavoratore è addetto, delle scelte operate dall’imprenditore, della presenza di altri lavoratori c.d. “fragili” in azienda.

Tale valutazione passerà obbligatoriamente attraverso un aggiornamento del DVR, che come noto deve essere adeguato ai protocolli emergenziali. A seguito di tale aggiornamento bisogna ricordare come il primo obbligo del datore di lavoro nei confronti di tutti i suoi collaboratori sia quello di avviare idonei percorsi di formazione e informazione. Questo è passaggio primario anche nei confronti dell’adozione, per esempio, di DPI.

  • Vaccino e welfare aziendale

La cultura della sicurezza è il primo fattore di prevenzione dai rischi di infortunio e patologie sul lavoro. Il datore di lavoro deve procedere, anche per il tramite del medico competente, con RSPP e RLS, ad una seria ed efficace campagna informativa che può essere avviata anche con l’utilizzo delle risorse finanziarie messe a disposizione dai Fondi Interprofessionali.

A supporto di questa campagna di informazione, è questa la linea che stanno già seguendo alcune grandi aziende, potrebbe intervenire anche il sistema di welfare aziendale che supporti e incentivi, magari economicamente, la saggia scelta di vaccinarsi. Molti piani sanitari in ambito di sistemi di welfare aziendale oggi favoriscono la prevenzione attraverso controlli periodici con tamponi sierologici o molecolari in convenzione con centri autorizzati.

  • Rifiuto alla vaccinazione: quali alternative?

Se nonostante tutte le attività di moral suasion poste in essere il datore di lavoro dovesse rilevare continui rifiuti del lavoratore alla vaccinazione, previa valutazione dell’effettivo rischio contagio derivante dalla mansione esercitata o dal luogo di lavoro, lo stesso datore di lavoro dovrebbe obbligatoriamente agire in modo conseguente.

Nel caso in cui la mansione del lavoratore lo esponga ad un rischio aggravato fino a diventare specifico, pensiamo alle attività sanitare e più in generale a quelle di diretto contatto con il pubblico, come nella grande distribuzione (GDO), e per le quali vige la presunzione semplice di infortunio di origine professionale, il datore di lavoro dovrà rimuovere lo stesso lavoratore da quella situazione. Dovrà pertanto cercare, temporaneamente per tutta la durata della pandemia, o definitivamente una nuova collocazione naturalmente ove ciò risulti possibile.

La collocazione a diversa mansione, obbligo di “repechage”, deve comunque essere compatibile con gli assetti organizzativi aziendali come la giurisprudenza di Cassazione ricorda. Anche in questo caso, salvo che il datore di lavoro non eserciti uno jus variandi di tipo meramente orizzontale e senza cambio di categoria legale, si dovrà giungere ad un accordo con il lavoratore che dovrà accettare nelle sedi di cui all’art. 2113, c. 4, c.c., o avanti alle commissioni di certificazione, le nuove mansioni (art. 3 D.Lgs. 81/2015). Motivazione dell’adibizione alle nuove mansioni sarà proprio l’interesse del lavoratore alla conservazione dell’occupazione. Altra possibilità sarebbe quella dell’adozione dello smart working, naturalmente ove ciò fosse compatibile con l’attività del lavoratore, anche in questo caso, superato il periodo emergenziale, è necessario acquisire il consenso del lavoratore.

Qualora tutte queste strade non portassero a soluzione del problema, né risultasse sufficientemente idonea l’introduzione di DPI particolari o di procedure di lavoro alternative per scongiurare il rischio contagio, non resterebbe altra strada per il datore di lavoro che quella della sospensione senza retribuzione del lavoratore o, in ultima ratio, del licenziamento. La prima strada, anche nel caso in cui la richiesta di sospensione pervenisse dal lavoratore, avrebbe esclusivamente senso in via temporanea ma se lo stesso lavoratore non recedesse dalla posizione di non vaccinarsi non resterebbe in campo che la soluzione del licenziamento. Strada ovviamente impervia ma sicuramente, a valle di quanto evidenziato, l’unica possibile per proteggere per prima cosa la salute del lavoratore, quella dei suoi colleghi e scongiurare i rischi, in caso di contagio da Covid-19, a carico dello stesso datore di lavoro e del medico competente di sanzioni di tipo penale.

  • In definitiva

Appare molto opportuno che il Legislatore affronti il nodo relativo alle conseguenze della mancata vaccinazione in modo ampio per le conseguenze che questo punto può rappresentare per la possibile uscita dallo stato di crisi di economica e sociale che attualmente attanaglia in nostro Paese. Non distogliendo l’attenzione dalle tematiche lavoristiche immaginiamo come tale situazione possa impattare in caso di rapporti di lavoro interposti. Pensiamo alle agenzie di somministrazione alle quali, da qui a breve, potrebbe essere richiesto, sia pure forzatamente in assenza di un preciso quadro regolatorio, di somministrare lavoratori “covid-free” ossia già vaccinati per una maggiore sicurezza aziendale e per ridurre il carico di procedure protettive, che comunque ad oggi sono obbligatorie a carico dell’utilizzatore (art. 35 D.Lgs 81/2015).

Tali considerazioni potrebbero anche essere fatte in tema di distacco (art. 30 D.Lgs. 276/2003 e s.m.i.).

Pensiamo poi alle indicazioni che dovranno essere riportate sul DUVRI in caso di lavori in appalto e quanto la circostanza che un’impresa possa garantire lavoratori vaccinati possa essere elemento di selezione nella scelta dei fornitori in caso di appalto. Le ricadute in tema di riservatezza dei dati personali del lavoratore sono evidentissime.

Da più parti si parla di una sorta di una “patente”, un documento che accerti l’assolvimento della vaccinazione e che liberi il possessore da obblighi di strumenti di protezione e dalle limitazioni di spostamento. Pensiamo a quali conseguenze una tale scelta potrebbe avere per l’accesso a posti aperti al pubblico. Locali frequentabili liberamente senza schermi o mascherine per i soli vaccinati. Si aprirebbero possibilità al limite della discriminazione e pertanto, ancora una volta, la via auspicabile sarebbe proprio quella di una efficace e trasparente informazione a salvaguardia del primario bene della pubblica salute.