Dopo il 1° aprile, l’azienda che vorrà attivare lo smart working, dovrà predisporre un accordo individuale con il lavoratore, che vada a definire le modalità di effettuazione della prestazione al di fuori dei locali aziendali.
Tale documento, inoltre, secondo quanto previsto da un emendamento alla legge di conversione del decreto Sostegni ter, non dovrà essere più allegato alla comunicazione obbligatoria prevista sul
sito del Ministero del Lavoro.
Nell’accordo, in particolare, devono essere individuati i requisiti minimi di idoneità dei locali privati adibiti ad attività lavorativa smart working, nonché riportare informazioni riguardanti l’organizzazione della giornata lavorativa, la durata della pausa, la reperibilità del lavoratore durante la giornata di smart working, il diritto alla disconnessione ed altro.
Come detto, il 31 marzo terminerà lo stato di emergenza sanitario istituito a seguito della crisi dovuta dal Covid-19 e cesserà anche la procedura semplificata per l’attivazione dello smart working che prevedeva l’avvio del lavoro da remoto senza un previo accordo individuale tra le parti (art. 90, commi 3 e 4, del D.L. n. 34/2020).
Dal 1° aprile il datore di lavoro, al fine di attivare lo smart working, dovrà predisporre un accordo individuale che vada a definire le modalità di effettuazione della prestazione resa al di fuori dei locali aziendali in modalità “agile”.
Detto accordo (D.L. n. 4/2022), non dovrà essere più allegato alla comunicazione obbligatoria. Detta semplificazione strutturale, sarà operativa solo dopo la pubblicazione, in Gazzetta Ufficiale, della legge di conversione del decreto Sostegni ter (prevista entro la fine di marzo) e l’emanazione di un decreto ministeriale con le modalità attuative semplificate.
Ciò non toglie, in ogni caso, che l’accordo individuale di smart working ritornerà ad essere obbligatorio dal prossimo 1° aprile.
Nell’accordo non dovranno essere necessariamente identificati i luoghi ove il lavoratore andrà a svolgere la prestazione lavorativa. Dovranno essere definiti i requisiti minimi di idoneità dei locali privati adibiti ad attività lavorativa, ciò al fine del rispetto delle regole legate alla salute ed alla sicurezza sul lavoro.
Si fa riferimento ai requisiti di abitabilità dei locali e relativo divieto all’uso di ambienti insalubri (es. locali
interrati, sottotetti/ammezzati). Per fare ciò, si potrà attingere da quanto previsto nell’allegato IV, del D.Lgs. n. 81/2008 (TU sulla Salute e Sicurezza sul lavoro), dove si evidenziano i “requisiti dei luoghi di lavoro”. Logicamente l’allegato dovrà essere il punto di partenza per reperire quelle informazioni basilari che dovranno essere riportate nell’accordo di smart working.
Queste alcune indicazioni importanti che il datore di lavoro potrà richiamare nell’accordo, allorquando dovrà identificare un ipotetico luogo adatto allo svolgimento di una attività lavorativa.
A mero titolo esemplificativo:
- la cubatura del locale non dovrebbe essere inferiore a 10 m3 (al lordo dei mobili);
- lo spazio destinato al lavoratore dovrà essere tale da consentire il normale movimento della persona in relazione al lavoro da compiere;
- il locale dovrà essere ben protetto contro gli agenti atmosferici, contro l’umidità e dovrà essere provvisto di un isolamento termico e acustico sufficiente;
- il locale dovrà avere aperture sufficienti per un rapido ricambio d’aria;
- l’impianto di illuminazione dovrà essere fatto in modo da non rappresentare un rischio di infortunio per il lavoratore.
Dovrà essere richiesta al lavoratore la verifica circa la conformità dell’impianto elettrico, di quello termico ed eventualmente dell’impianto di climatizzazione, qualora presente, che dovranno essere mantenuti in efficienza e controllati da personale esperto.
A discrezione del datore di lavoro, potranno essere esclusi tra i luoghi idonei alla prestazione smart working, i locali pubblici o aperti al pubblico, ciò al fine di limitare al massimo possibili eventi negativi che riguardano la riservatezza dei dati e delle informazioni che transitano sugli strumenti utilizzati dal lavoratore per rendere la prestazione lavorativa.
Il lavoro agile rappresenta una diversa modalità di svolgimento della prestazione lavorativa individuale con l’utilizzo di strumenti tecnologici.
In altre parole il lavoro agile è una modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato “senza precisi vincoli di orario” ma “entro i soli limiti di durata massima dell’orario di lavoro derivanti dalla legge e dalla contrattazione collettiva”.
Ciò sta a significare che la prestazione in smart working, per essere correttamente realizzata, si dovrà collegare più agli obiettivi che il datore di lavoro sarà tenuto a fornire al lavoratore che all’orario di lavoro, contrattualmente previsto. Logicamente, non potrà essere richiesto al lavoratore un orario non coerente ai limiti previsti dalla normativa (D.Lgs. n. 66/2003) e dalla contrattualistica applicata dall’azienda.
Il datore di lavoro dovrà prevedere, all’interno dell’accordo individuale, alcune informazioni riguardanti l’orario di lavoro:
- il periodo entro il quale dovrà essere prevista la prestazione lavorativa. Ad esempio, dalle 7.00 alle 20.00. Questo periodo non rappresenta la durata della prestazione ma l’intervallo entro il quale la prestazione dovrà essere avviata e conclusa;
- la previsione della giornata lavorativa, in fasce orarie, così come contrattualmente previste ovvero senza l’indicazione dell’orario di inizio e di fine
- la durata della pausa, nel caso in cui la prestazione lavorativa sia prevista in fasce orarie;
- la presenza o meno di eventuali ore di straordinario sempre se la giornata lavorativa sia prevista in fasce orarie.
- il diritto alla “disconnessione” ovvero una o più fasce d’orario in cui il lavoratore ha diritto di non svolgere alcuna attività lavorativa
Circa il lavoro straordinario, è il caso di puntualizzare che il protocollo sul lavoro agile, del 7 dicembre 2021, dice che “durante le giornate in cui la prestazione lavorativa viene svolta in modalità agile non possono essere di norma previste e autorizzate prestazioni di lavoro straordinario”. Ciò può essere superato da un diverso accordo tra le parti ove si preveda che la giornata lavorativa in smart working sia definita in fasce orarie con una previsione di orario di inizio e di fine.
Resta inteso che qualora le parti ritengano possibile l’utilizzo di ore di straordinario in modalità smart working, dovranno essere altresì previsti i limiti massimi di utilizzo e le modalità di richiesta, da parte del lavoratore, e la successiva autorizzazione da parte del superiore gerarchico. Ciò al fine di evitare sgradevoli sorprese da parte del datore di lavoro il quale dovesse ricevere, al termine del mese, indicazioni da parte del lavoratore circa l’effettuazione di un numero di ore di lavoro straordinario spropositato e non coerente con le attività intraprese e/o gli obiettivi dati al lavoratore.
Ulteriori elementi che dovranno integrare la disciplina dell’orario di lavoro sono la eventuale reperibilità del lavoratore durante la giornata smart working ed il suo diritto alla disconnessione al termine della prestazione lavorativa o durante.
Non essendoci “precisi vincoli di orario” ed essendo possibile lo svolgimento della prestazione durante il range di orario stabilito nell’accordo individuale, le parti -se del caso- potranno concordare momenti di reperibilità per i collegamenti con l’azienda (Zoom, Microsoft Team, ecc.), al fine di interagire sui progetti in essere.
Potrà essere prevista l’indicazione della durata dell’accordo di smart working se a tempo indeterminato, con preavviso per la cessazione, o a tempo determinato o motivi di recesso anticipato
Potrà, o meno, essere anche specificato il tempo in cui sarà possibile prestare l’attività lavorativa da remoto, secondo le prescrizioni previste dall’accordo stesso (ad esempio, tutti i martedì; un giorno la settimana; 5 giorni al mese; 50 giorni l’anno; ecc.), ovvero prevedere che le giornate lavorative da remoto potranno essere indicate successivamente dall’azienda.
Nell’accordo potranno essere previsti, a titolo esemplificativo, i possibili motivi di recesso anticipato dal contratto di smart working per i quali non è obbligatorio prevedere un preavviso, quali, ad esempio:
- il cambiamento di ruolo e/o di mansione, incompatibile con l’effettuazione di prestazioni di lavoro agile;
- le sopraggiunte condizioni di incompatibilità organizzativa, produttiva o tecnica che rendono impossibile la prestazione a distanza;
- il mancato rispetto, in capo al lavoratore, degli obblighi previsti nell’accordo individuale. Ad esempio, il mancato rispetto della normativa in materia di lavoro e di salute e sicurezza sul lavoro;
- il mancato rispetto degli obblighi previsti dal CCNL e/o dal contratto collettivo aziendale;
- il ripetuto mancato raggiungimento degli obiettivi previsti nell’accordo stesso o individuati periodicamente dal superiore gerarchico e comunicati al lavoratore;
- qualora il lavoratore non riesca a garantire una qualità e/o continuità della connessione di
- rete ai sistemi aziendali, tale da assicurare una produttività coerente con le attese e conforme
- alle prestazioni rese all’interno dei locali aziendali;
- qualora il lavoratore comprometta il rapporto di fiducia e correttezza alla base dell’esecuzione della prestazione “agile”.
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