Nei rapporti di lavoro a tempo determinato il periodo di prova dovrà essere stabilito in misura proporzionale alla durata del contratto e alle mansioni da svolgere in relazione alla natura dell’impiego.
E’ quanto previsto dallo schema di decreto legislativo, approvato dal Consiglio dei Ministri il 31 marzo, per l’attuazione della direttiva UE n. 2019/1152. La bozza di provvedimento, ribadisce inoltre i principi già consolidati nel nostro ordinamento nazionale, ove è previsto che sia la contrattazione collettiva a determinare la durata del periodo di prova entro il limite massimo di sei mesi. Ulteriori disposizioni del legislatore attengono alla reiterazione e al prolungamento del periodo di prova, nel caso in cui si vengano a verificare degli eventi che vanno a sospendere l’attività lavorativa.
Il limite massimo è di sei mesi
In particolare, la norma (art. 7) ribadisce i principi già consolidati nel nostro ordinamento nazionale, ove è previsto che sia la contrattazione collettiva a determinare la durata del periodo di prova entro il limite massimo di sei mesi. L’affermazione evidenzia una durata ragionevole del periodo di prova, affinché il lavoratore non prolunghi eccessivamente una situazione di insicurezza lavorativa dovuta proprio all’eccessiva durata del patto di prova. Patto che, così come affermato dall’art. 2096 del codice civile, deve essere quel periodo entro il quale le parti verificano la convenienza reciproca del rapporto di lavoro prima che questi diventi definitivo. Una sorta di esperimento che forma oggetto del patto di prova e che dovrà risultare da atto scritto.
Come è noto, durante il periodo di prova ciascuna delle parti potrà recedere dal contratto di lavoro, senza obbligo di preavviso o di relativa indennità.
Pochi contratti collettivi, ad oggi, hanno affrontato la proposizione del periodo di prova nei contratti a termine, basando la materia esclusivamente in prospettiva dei rapporti a tempo indeterminato. Ragion per cui, con l’intervento legislativo mi aspetto un’apertura da parte della contrattazione collettiva che possa percentualizzare la durata del patto di prova, riducendone la portata in relazione alla durata del contratto a termine.
In attesa che la contrattazione disciplini compiutamente la materia, sarà cura del datore di lavoro proporzionare la durata della prova alla durata del contratto a tempo determinato, avendo cura di non superare mai la metà della durata complessiva del rapporto di lavoro.
La criticità, nel costruire “in casa” la durata del patto di prova attiene al fatto che la proporzione non dovrà essere effettuata esclusivamente in funzione della sola durata del contatto di lavoro ma anche in relazione alle “mansioni da svolgere in relazione alla natura dell’impiego”.
La formulazione generica di questo secondo elemento può rendere aleatoria qualsiasi proporzione del periodo di prova, in considerazione del fatto che la valutazione potrebbe essere considerata soggettiva e come tale basata su informazioni altamente interpretabili.
Qualora un giudice dichiari illegittimo il periodo di prova in quanto sproporzionato rispetto ai parametri richiesti dal legislatore (durata e mansioni), ciò comporterà la nullità del recesso e con esso la stabilità del rapporto di lavoro sino alla data naturale di cessazione del contratto a termine, ovvero la corresponsione, da parte del datore di lavoro, delle mensilità retributive sino a quella che doveva essere la data di cessazione naturale del rapporto di lavoro.
Reiterazione del periodo di prova
La prova non può essere reiterata in caso di rinnovo di un contratto di lavoro per lo svolgimento di mansioni già ricoperte dal lavoratore in rapporti di lavoro precedenti.
Oltre al caso di rinnovo del rapporto di lavoro per lo svolgimento di mansioni diverse, la giurisprudenza di legittimità ha ammesso la reiterazione del periodo di prova anche qualora sia decorso un “apprezzabile lasso di tempo” rispetto al contratto precedente (Cassazione – sentenza n. 8237/ 2015), ovvero qualora tra un rapporto di lavoro ed il successivo siano mutati, nel frattempo, taluni fattori come, ad esempio, il contesto sociale e lavorativo, le capacità professionali, le abitudini di vita, le condizioni di salute del lavoratore o l’organizzazione aziendale (Cassazione – sentenza 8237/2015 e ordinanza 28252/2018).
È il caso di sottolineare, comunque, che l’esigenza di reiterare il periodo di prova va valutata compiutamente dal datore di lavoro, avendo chiaro che ciò potrà comportare un eventuale contenzioso con il lavoratore, qualora la motivazione della ripetizione del patto di prova non sia coerente con le ipotesi esposte dalla giurisprudenza e non sia evidente dal contratto individuale sottoscritto tra le parti
Sospensione del periodo di prova
Ultima disposizione attiene al prolungamento del periodo di prova, nel caso in cui si vengano a verificare degli eventi che vanno a sospendere l’attività lavorativa.
La stessa corte di Cassazione aveva già, in passato, sottolineato come la funzione del periodo di prova dovesse essere quella di consentire alle parti di verificare la convenienza della collaborazione reciproca. Qualora ciò non sia stato possibile, in relazione ad eventi non prevedibili al momento della stipulazione del contratto, il periodo di prova doveva essere necessariamente prolungato per consentire la realizzazione dell’esperimento.
Ad oggi, è la contrattazione collettiva nazionale che regolamenta quali sono gli eventi che possono sospendere il periodo di prova. Con la vigenza del prossimo decreto legislativo, sarà il legislatore che disporrà gli eventi interruttivi che potranno portare ad un aumento proporzionale del periodo di prova. Questi saranno: la malattia, l’infortunio ed il congedo di maternità o di paternità obbligatori.
Esclusioni
Sono esclusi dalle prossime novità normative in materia di patto di prova, i dipendenti delle Pubbliche amministrazioni, per i quali si applica quanto previsto dall’articolo 17 del D.P.R. n. 487 del 9 maggio 1994.