Probabilmente sino a settembre di quest’anno, continueremo a conoscere la modalità chiamata smart working emergenziale dello smart working o lavoro agile.
La modalità anti covid-19 nasce nel marzo del 2020 per limitare gli spostamenti delle persone senza bloccare le attività lavorative, ed elimina alcuni passaggi previsti dalla L. 81/2017 tra cui quello dell’accordo tra le parti.
Ad un anno di distanza dalla sua massiccia e forzata applicazione, lo smart working sta diventando un modus operandi comune alle aziende, non solo perché siamo ancora nella pandemia, ma anche perché molte organizzazioni lo stanno valutando come una possibilità di lavoro futuro, alternando lo smart working alla presenza in azienda.
Si è passati da un approccio di vera “improvvisazione” per la maggior parte delle imprese ad un approccio più strutturato e organizzato. In questo senso, man mano che passano i mesi, le differenze effettive tra lo smart working emergenziale e quello “ordinario”, cioè quello disciplinato dalla norma del 2017, vanno di fatto assottigliandosi, pur rimanendo forti differenze sia in termini giuridici che di adempimenti amministrativi.
Una recente indagine ha analizzato le ricadute sui lavoratori dell’esperienza dei smart working o lavoro agile:
- Il 16,7% dei lavoratori intervistati guarda allo smart working come un punto di non ritorno della propria vita professionale;
- oltre il 10,7% cercherebbe un qualsiasi altro lavoro pur di svolgerlo da casa.
- Il 43,5% si adatterebbe al ritorno in ufficio, ma solo 4 su 10 sarebbero contenti di tornare a lavorare tutti i giorni in presenza.
L’esperienza dell’ultimo anno è stata vissuta in modo molto diverso da giovani e adulti, da lavoratori con figli e senza. In termini relazionali e di carriera, gli uomini sembrano aver patito maggiormente il lavoro da casa (52,4% contro 45,7% delle donne), guadagnando però in produttività e concentrazione. Viceversa, le donne hanno sofferto l’allungamento dei tempi di lavoro (57% contro il 50,5% degli uomini) e l’inadeguatezza degli spazi casalinghi (42,1% contro 37,9%), evidenziando un maggior rischio di disaffezione verso il lavoro (44,3% rispetto al 37% dei colleghi).
Altro aspetto interessante è quello relativo all’impatto psicologico dell’improvviso lavoro delocalizzato. Dall’ansia da prestazione alla dilatazione dei tempi di lavoro e, per il 48,3% degli intervistati, addirittura disturbi fisici legati all’inadeguatezza delle postazioni domestiche.
Il lavoro agile ha interessato soprattutto i lavoratori più qualificati e le grandi aziende (terziario, servizi alle imprese, credito e assicurazioni), soprattutto i lavoratori sotto i 35 anni, per i quali non si può più tornare indietro.
Sulla base dell’esperienza registrata quest’anno e dei dati fin qui evidenziati è possibile tracciare le linee di demarcazione tra il lavoro agile conosciuto ai tempi dell’emergenza sanitaria e il lavoro agile 2.0, che sarà.
Evidenziamo i punti salienti
L’accordo tra le parti.
È il momento in cui vengono definiti gli elementi regolatori del rapporto di smart working. Si tratta della formalizzazione, volontaria, di come organizzare la modalità di esecuzione della prestazione lavorativa, è il punto di partenza, non solo formale, di un’esperienza agile. Ad oggi è l’unico contratto obbligatorio, non essendo prevista alcuna disciplina collettiva. Come sappiamo sono molte le sollecitazioni a prevedere un obbligo di regolamentazione da parte dei contratti collettivi dell’istituto. Per questo il governo guarderebbe alla definizione di un accordo quadro all’interno del quale si possa sviluppare la negoziazione.
L’orario di lavoro.
Le parti dovranno fare attenzione alla distribuzione temporale dell’attività lavorativa, che dovrà consentire l’armonizzazione con le esigenze personali (ad esempio, prevedere un arco temporale in cui il lavoratore possa distribuire discrezionalmente il proprio orario di lavoro). Un tema significativo è la registrazione delle ore lavorate sul LUL. Vista l’impossibilità, o comunque l’estrema difficoltà, di tracciare le ore di effettivo lavoro in una giornata “agile”, i datori di lavoro opereranno una “finzione legalmente accettata” segnando le sole ore ordinarie. Meglio sarebbe che si potesse utilizzare anche in questo caso la sola tracciatura della presenza come avviene per i lavoratori mobili.
Il diritto alla disconnessione.
È strettamente connesso al punto che precede. È tra le situazioni più delicate da normare, specialmente nelle PMI. È la salvaguardia del lavoratore contro quella frenesia da lavoro che hanno evidenziato i dati della ricerca della Fondazione dei Consulenti del Lavoro. Certo va ricordato come tali dati siano falsati dalla percezione dell’immobilismo domestico determinata dalle restrizioni alla mobilità, percezione che verrà superata quando lo smart working sarà collocato nell’ordinaria dimensione. Potrebbe essere utile attivare sistemi informativi che blocchino l’accesso ai server fuori dalle fasce orarie concordate, oppure risponditori automatici che liberino i dipendenti dall’ansia di risposta alle email o ai messaggi pervenuti fuori orario.
La retribuzione.
Come è noto la modalità agile del lavoro non prevede riduzione della retribuzione, che anzi potrebbe essere integrata per incentivare il raggiungimento di risultati concordati (non dimentichiamo infatti che oltre al work life balance l’obiettivo della L. 81/2017 è quello di incrementare la produttività del lavoro). L’Agenzia delle Entrate poi ha recentemente chiarito che, ove concordato, il buono pasto mantiene le ordinarie esenzioni fiscali e contributive.
La sicurezza del lavoro.
Il rapporto di lavoro agile permane un rapporto subordinato e pertanto i vincoli e le responsabilità in capo al datore di lavoro sono inalterate. Sarà necessario redigere una puntuale valutazione dei rischi e un appropriato percorso formativo unitamente a una rigorosa rete di divieti di comportamenti a tutela della sicurezza fisica del lavoratore e informatica riferita ai dati trattati. Recentemente l’Inail ha riconosciuto come infortunio sul lavoro quello occorso ad una signora dipendente di un’azienda metalmeccanica di Treviso che durante il lavoro in smart working è scivolata dalle scale della propria abitazione nel corso di una telefonata con un collega, procurandosi importanti fratture. La telefonata era effettuata per ragioni di lavoro e il cellulare era aziendale.
Il luogo di lavoro.
Sarà l’elemento che determinerà la maggior distanza tra lo smart working emergenziale e quello ordinario. Oggi lo smart working è lavoro casalingo, telelavoro. Domani sarà lavoro in movimento, saranno sperimentate sedi collettive in zone di provincia e gli enti locali più attenti promuoveranno siti di coworking. Luoghi in cui, oltre alle postazioni in spazio condiviso, alla flessibilità negli orari e alla sicurezza di lavorare in ambienti sanificati e protetti, saranno compresi tanti altri servizi, zone comuni e aree break. Sarà un lavoro nuovo in cui si sposteranno meno le persone e più le informazioni e le idee. Non sarà in questo modo un lavoro isolato e che costringerà il lavoratore in spazi domiciliari spesso non idonei, ma una modalità organizzativa sostenibile, sia in termini di riduzione di costi di spostamenti che di consumi energetici.
Queste, in estrema sintesi, le caratteristiche del lavoro agile 2.0 e che interessa tanto gli under 35.
Questi elementi saranno però conseguenziali all’adesione di una modalità agile della stessa impresa che muterà profondamente le proprie modalità relazionali con i dipendenti anticipando innovazioni normative. Alcuni paradigmi propri del lavoro subordinato diventano preistorici ed alcuni atti amministrativi inadeguati.
Ormai da più parti si evidenzia come sia necessario un cambiamento culturale, un’innovazione organizzativa che punti alla digitalizzazione dei processi e ad un upgrade degli strumenti tecnologici/informatici per lavorare ovunque, una leadership partecipativa basata sulla fiducia, sul lavoro di team, che valorizzi le persone sulla base di obiettivi e non di compiti.
Per definire al meglio i confini tra vita privata e lavoro, è necessario definire nuove modalità organizzative e comportamentali relative:
- agli orari di lavoro,
- alle riunioni,
- alla relazione tra colleghi,
- alla gestione dei clienti .
C’è bisogno di porre al centro di questa trasformazione agile le persone supportandole, attraverso programmi di team coaching, a co-costruire il senso dello smart working all’interno della propria organizzazione individuando i punti di forza e di criticità, e valutare gli impatti che lo smart working ha sulla gestione del tempo, sul lavoro in team e per obiettivi.
C’è bisogno di misurare il gap tra la cultura agile e la cultura attuale dell’organizzazione, per predisporre programmi di sviluppo dell’organizzazione e del capitale umano, di strumenti e metodi ispirati ad una cultura agile. C’è bisogno di predisporre programmi di welfare aziendale che puntino al recupero del benessere organizzativo, personale e relazionale e che supportino il rinnovato equilibrio work-life.
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