Il principio dell’immediatezza della contestazione dell’addebito, nell’ambito del licenziamento per giusta causa, deve essere inteso in senso relativo, potendo in concreto essere compatibile con un intervallo di tempo più o meno lungo.

Così, secondo una recentissima sentenza della Cassazione Sezione Lavoro n°15229 del 16 luglio 2020.

In alcuni casi, infatti, l’accertamento e la valutazione dei fatti risultano molto laboriose e richiedono uno spazio temporale maggiore. In tali ipotesi, come nel caso in cui il licenziamento sia motivato dall’abuso di uno strumento di lavoro, non può ritorcersi a danno del datore di lavoro l’affidamento riposto nella correttezza del dipendente, né può essere equiparata la mera possibilità di conoscenza dell’illecito ad una conoscenza effettiva del fatto, e neanche supporsi una tolleranza dell’azienda a prescindere dalla sua conoscenza degli abusi del dipendente .

La Corte ha ricordato che i requisiti della immediatezza e tempestività per la validità del licenziamento per giusta causa sono compatibili con un intervallo temporaneo, quando la condotta del lavoratore consiste una serie di fatti che esigono una valutazione globale ed unitaria da parte del datore di lavoro.

Inoltre, anche se il datore di lavoro non può licenziare per motivi diversi da quelli contestati, è possibile considerare fatti non contestati e situati a distanza anche superiore ai 2 anni dal recesso, quali conferma della validità di altri addebiti posti a base del licenziamento, al fine della valutazione della complessiva gravità, sotto il profilo psicologico, delle inadempienze del lavoratore e della proporzionalità o meno del conseguente provvedimento sanzionatorio del datore di lavoro.

Le considerazioni di cui sopra operano anche nel caso in cui i comportamenti disciplinarmente rilevanti siano stati contestati non subito dopo il loro verificarsi ma in ritardo ed anche quando la loro contestazione sia avvenuta solo unitamente al fatto ultimo da sanzionare.