Le investigazioni sui dipendenti violano la privacy?
Con una ordinanza [1], la Corte di Cassazione ha stabilito quali sono le regole che il datore di lavoro è tenuto a rispettare per non incappare nella violazione della privacy. In materia di lavoro dipendente costituisce caposaldo del nostro ordinamento il divieto di effettuare controlli a distanza sull’attività del lavoratore.
A stabilirlo è l’articolo 4 dello Statuto dei lavoratori. Come si pone, in quest’ottica, il pedinamento eseguito da un detective privato contattato dall’azienda affinché verifichi cosa fa il dipendente durante l’orario di lavoro e al di fuori di esso? Lo 007 può mettersi alle calcagna di un dirigente per verificare se questi è davvero in “missione” oppure sta solo usando l’auto di servizio per fare la spesa? Può controllare se un operaio, che ha preso qualche giorno di malattia, svolge in realtà, durante questo periodo, un secondo lavoro? Può fotografare un addetto al magazzino che, assente dal lavoro per badare al familiare disabile, è invece al bar con gli amici? Si tratta di un argomento assai attuale: le aziende, infatti, stanno facendo massiccio ricorso ai servizi investigativi per liberarsi dei lavoratori infedeli. A dimostrazione di ciò, vi è l’elevato numero di sentenze che, proprio di recente, hanno affrontato il problema.
La Cassazione e le investigazioni sui dipendenti.
Molte di queste sono proprio a firma della Cassazione, a dimostrazione di come le regole sulle investigazioni private sui dipendenti e sulla violazione della privacy sono spesso al centro di equivoci. Ebbene, formulando alcuni semplici principi, analogamente già espressi in altre sentenze, la Cassazione ha dichiarato legittimi i controlli delegati dall’azienda all’agenzia investigativa, ma solo se effettuati in luoghi pubblici e per fatti estranei alla prestazione lavorativa. Il divieto di controlli sui dipendenti Abbiamo appena anticipato che lo Statuto dei lavoratori vieta l’utilizzo di impianti audiovisivi e di altri strumenti che possano comportare il controllo a distanza dell’attività lavorativa.Se però questi servono per la sicurezza del lavoro (si pensi alle telecamere di sorveglianza all’interno di una banca o di un ufficio postale, per prevenire il rischio di rapinatori) e la tutela del patrimonio aziendale (si pensi alla videosorveglianza in un supermercato o in un centro commerciale per evitare il taccheggio), tali controlli possono essere effettuati solo previo accordo con le rappresentanze sindacali o, in mancanza, con l’Ispettorato del lavoro. Lo scopo perseguito dalla legge è molto chiaro: i controlli non possono essere finalizzati alla verifica della prestazione lavorativa dei dipendenti (ossia ad accertare quanto e come stanno lavorando, il ché finirebbe per lederne la privacy), ma a contrastare illeciti (di terzi o degli stessi dipendenti) ai danni dell’azienda o dei clienti oppure a prevenire altri eventi pericolosi (si pensi a una telecamera puntata a ridosso di un macchinario pericoloso che potrebbe facilmente incendiarsi).
I controlli sui DISPOSITIVI UTILIZZATI DAI LAVORATORI.
In via del tutto eccezionale, la norma consente i controlli – senza bisogno dell’accordo coi sindacati – sugli strumenti utilizzati dal lavoratore per svolgere la propria prestazione lavorativa (ad es. cellulari, computer e tablet aziendali) e sugli strumenti di registrazione degli accessi e delle presenze (i cosiddetti badge o timbrapresenze). Il pedinamento del dipendente è vietato? Se è vero, dunque, che il datore di lavoro non può mai controllare il dipendente mentre sta lavorando e ha il divieto categorico di verificare se esegue correttamente le mansioni assegnategli, è anche vero però che può farlo alla fine dell’orario di servizio.In tal caso, infatti, il pedinamento non si risolve in un controllo sulla prestazione lavorativa e sull’efficienza dello stesso, ma su comportamenti esterni che potrebbero ugualmente danneggiare l’azienda.Si pensi al dipendente in malattia che, in realtà, sta benissimo; o a quello che usa i permessi della legge 104 per fare una gita; o ancora a quello che ha un secondo lavoro in concorrenza con quello del datore.
Qundo le investigazioni sui dipendenti sono legittime?
Dunque, i controlli dell’agenzia investigativa sono legittimi e non violano la privacy del dipendente solo se: effettuati in luoghi pubblici, ossia né in azienda né all’interno della dimora del lavoratore (ove sussiste il divieto di interferenze nella vita privata); riguardano fatti estranei alla prestazione lavorativa: pertanto è vietato il pedinamento del dipendente in missione se eseguito per verificare come si comporta con i clienti e i fornitori; è lecito invece se eseguito al fine di accertare se questi sta davvero svolgendo i compiti che gli sono stati impartiti dal datore di lavoro. Investigatore privato alluscita dell’azienda L’investigatore privato, nell’esercizio dell’INVESTIGAZIONI SUI DIPENDENTI non viola la privacy dei dipendenti se si apposta alluscita dell’azienda per controllare chi va via prima dell’orario di chiusura e dove si reca. Il pedinamento del lavoratore che non rispetta i propri turni e abbandona il posto di lavoro anzitempo è lecito. Alla luce di ciò, dice la Cassazione, è legittimo il licenziamento in tronco di un dipendente per essersi ripetutamente allontanato dallufficio durante l’orario di servizio senza timbrare il badge in uscita e facendo così risultare la regolare presenza in servizio. Il pedinamento avviene infatti un un «luogo pubblico» (la strada) ed è finalizzato alla verifica di «fatti estranei alla prestazione lavorativa».
Investigazioni sui dipendenti e agenzie.
Quanto alla legittimità dell’attività svolta dall’agenzia investigativa, la Cassazione ha ricordato che i controlli del datore di lavoro, anche a mezzo di agenzia investigativa, sono legittimi ove siano finalizzati a verificare comportamenti del lavoratore che possano configurare ipotesi penalmente rilevanti o integrare attività fraudolente, fonti di danno per il datore di lavoro; non possono invece avere a oggetto l’adempimento/inadempimento della prestazione lavorativa in ragione del divieto previsto dallo Statuto dei lavoratori. Nel caso in esame il controllo non era diretto a verificare le modalità di adempimento della prestazione lavorativa bensì «la condotta fraudolenta di assenza del dipendente dal luogo di lavoro nonostante la timbratura del badge». Né sussiste una violazione della privacy del lavoratore seguito nei suoi spostamenti, in quanto il controllo era effettuato in luoghi pubblici e finalizzato ad accertare le cause dell’allontanamento.
note [1] Cass. ord. n. 6174/19 dell’1.03.2019.
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