È legittimo collocare in ferie il dipendente sanitario dopo il suo rifiuto della vaccinazione anti COVID-19? La risposta è si.

L’apparente controversa questione delle conseguenze contrattuali per il dipendente a seguito del suo rifiuto della vaccinazione ha trovato il primo inquadramento giudiziario con una sintetica decisione che scolpisce principi giuridici fondanti la tutela della integrità psicofisica dei lavoratori e delle lavoratrici come assolutamente preminente e prioritaria (Trib. Belluno 19 marzo 2021 n. 12).

Il Tribunale di Belluno si è occupato infatti della vertenza originata dalla decisione di due aziende RSA del Bellunese di collocare in ferie due infermieri e otto operatori sociosanitari (OSS) che a seguito del loro rifiuto della vaccinazione nel mese di febbraio.

Il Tribunale ha affermato in modo netto che la permanenza in servizio di lavoratori e lavoratrici non vaccinate comporta per il datore la violazione dell’obbligo di massima sicurezza tecnica-organizzativa-procedurale di cui all’art. 2087 c.c.

Divieto di accesso in azienda dopo il rifiuto della vaccinazione

Pertanto, nel vietare l’accesso in azienda dei dipendenti a seguito del loro rifiuto della vaccinazione nonostante questa fosse stata loro esplicitamente offerta, il datore di lavoro ha agito non solo legittimamente, ma pure nell’adempimento di un proprio dovere.

In tal senso, l’obbligo datoriale di ottemperanza all’art. 2087 c.c. prevale sull’eventuale interesse dei lavoratori a usufruire delle ferie in un periodo diverso.

Appare comunque evidente che la collocazione forzata in ferie è una soluzione temporanea ma, visto anche il prolungarsi al di là di ogni previsione dell’emergenza pandemica, se il pericolo attuale di contagio permane e il lavoratore non recede dal suo rifiuto di vaccinazione, il tema della retribuzione per il dipendente sospeso dal servizio inevitabilmente tornerà all’ordine del giorno.

Per quanto attiene il licenziamento dopo il rifiuto della vaccinazione, il tema resta presente, ma sullo sfondo, stante il divieto di licenziamento in vigore, attualmente, fino al 30 giugno 2021.

Esiste l’obbligo per tutti i sanitari di sottoporsi alla vaccinazione anti COVID-19

Con l’entrata in vigore del DL 44/2021, il legislatore ha previsto l’obbligo per gli esercenti le professioni sanitarie e gli operatori di interesse sanitario di sottoporsi alla vaccinazione anti COVID-19.
Nell’ipotesi d’inosservanza dell’obbligo, vengono contemplate le seguenti misure:

  • la sospensione dal diritto di svolgere prestazioni o mansioni che implicano contatti interpersonali o comportano, in qualsiasi altra forma, il rischio di diffusione del contagio (art. 4, c. 6, DL 44/2021) fino all’assolvimento dell’obbligo vaccinale o, in mancanza, fino al completamento del piano vaccinale nazionale e comunque non oltre il 31 dicembre 2021 (art. 4, c. 9, DL 44/2021);
  • l’adibizione del lavoratore da parte del datore di lavoro, ove possibile, a mansioni, anche inferiori, diverse da quelle che implicano contatti interpersonali o comportano, in qualsiasi altra forma, il rischio di diffusione del contagio, con il trattamento corrispondente alle mansioni esercitate, e che, comunque, non implicano rischi di diffusione del contagio (art. 4, c. 8 primo periodo, DL 44/2021), ovvero, ove non possibile, l’omesso pagamento per il periodo di sospensione di retribuzione, altro compenso o emolumento (art. 4, c. 8 secondo periodo, DL 44/2021).

Inoltre, per il periodo in cui la vaccinazione è sospesa o differita, e comunque non oltre il 31 dicembre 2021, scattano:

  • l’adibizione del lavoratore da parte del datore di lavoro, a mansioni anche diverse, senza decurtazione della retribuzione, in modo da evitare il rischio di diffusione del contagio (art. 4, c. 10, DL 44/2021);
  • l’adozione da parte dell’esercente attività libero professionale delle misure di prevenzione igienico-sanitarie indicate in apposito decreto da emanare al fine di contenere il rischio di contagio.