La Cassazione, (Sent. n.27683 del 21 settembre 2022) ritiene giustificato il licenziamento in tronco dei furbetti del cartellino , anche nell’ambito del lavoro in aziende private (non pubbliche), indipendentemente dalla gravità della condotta e del danno arrecato, in quanto a venire meno è il rapporto fiduciario tra azienda e dipendente.

Nel Diritto del Lavoro, come è noto, la sussistenza del vincolo fiduciario è una condizione importantissima al fine della permanenza del rapporto di lavoro e si articola nel rispetto dei doveri di cui agli articoli 2104 e 2015 c.c.

Il lavoratore deve svolgere la prestazione secondo diligenza unitamente all’obbligo di fedeltà di cui all’articolo 2105 c.c. Questa norma deve anche leggersi in senso più ampio quale dovere generico del dipendente di astenersi da tutti quei comportamenti che minano gli interessi del datore, ossia l’organizzazione dell’impresa.

In relazione a quanto detto, sussiste la giusta causa di licenziamento, qualora la violazione degli obblighi da parte del lavoratore sia tale da ledere in via irreversibile la fiducia intercorrente con il datore di lavoro.

In tal senso si è pronunciata la Corte di Cassazione con riguardo alla fattispecie della falsa attestazione delle presenze sul lavoro, comunemente riferita ai “furbetti del cartellino”

La fattispecie in esame riguarda la vicenda di un lavoratore, licenziato da un Comune, presso cui lavorava con qualifica di operaio e mansioni di capo squadra. Sulla base di ben 29 episodi, accertati dalla Polizia giudiziaria, l’Ente pubblico provvedeva alla redazione della contestazione disciplinare con richiamo all’informativa di reati nonché ipotizzando la violazione di alcune norme del Codice di condotta.

Certamente il fenomeno della falsa attestazione delle presenze sul posto di lavoro trova le proprie origini nell’ambito del pubblico impiego, ciò non togliendo che il medesimo problema organizzativo si presenti anche nell’ambito dell’impresa privata laddove si verifichi un impiego fraudolento del badge presenza, violando evidentemente i doveri di diligenza e fedeltà.

A proposito della violazione del vincolo fiduciario da parte dei cosiddetti furbetti del cartellino, la giurisprudenza è da tempo ferma nel ritenere che “La timbratura del cartellino marcatempo per conto di un collega non presente sul luogo di lavoro, evidenziando l’intento di trarre in inganno il datore di lavoro, lede irrimediabilmente il vincolo fiduciario caratterizzante il rapporto, giustificando il recesso per giusta causa” (Cfr. Cass. sez. lav., 7 dicembre 2010, n.24796).

Ugualmente, la Cassazione ha rinvenuto la sussistenza della giusta causa di recesso, nel caso in cui il “dipendente abbia fatto risultare falsamente, mediante timbratura del cartellino marcatempo da parte di altro collega, la propria presenza in servizio. In tale caso la giurisprudenza di legittimità ritiene che trattasi di comportamento gravemente irregolare ed anomalo, idoneo a ledere in misura significativa il vincolo fiduciario con il datore di lavoro” (Cfr. Cass. sez. lav., 28 maggio 2018, n.13269).

La sentenza in commento ha ritenuto giustificato il licenziamento in tronco del dipendente che attesti falsamente la propria presenza sul posto di lavoro, indipendentemente dalla gravità della condotta e del danno arrecato, in quanto a venire posta in dubbio è la correttezza delle prestazioni future del dipendente.

Ai fini della valutazione di proporzionalità è sempre necessario valutare in concreto se il comportamento tenuto, per la sua gravità, sia suscettibile di scuotere la fiducia del datore di lavoro e di far ritenere che la prosecuzione del rapporto si risolva in un pregiudizio per gli scopi aziendali.

In particolare, in caso di falsa attestazione della presenza in servizio, la Corte ha ritenuto che la condotta del lavoratore denoterebbe una scarsa inclinazione ad attuare diligentemente gli obblighi assunti e a conformarsi ai canoni di buona fede e correttezza.

Infatti, oltre ad integrare fattispecie penalmente rilevanti, implica la violazione dei fondamentali doveri scaturenti dal vincolo della subordinazione e legittima il recesso per giusta causa. La modesta entità del fatto addebitato non va riferita alla tenuità del danno patrimoniale subito dal datore di lavoro, dovendosi valutare la condotta del prestatore di lavoro che può assumere rispetto ai suoi futuri comportamenti; nonché all’idoneità a porre in dubbio la futura correttezza dell’adempimento e ad incidere sull’elemento essenziale della fiducia.