Il Garante per la protezione dei dati personali ha ritenuto illegittimo il controllo dei metadati della posta elettronica dei dipendenti, senza adeguate tutele per la riservatezza e in violazione delle norme che limitano il controllo a distanza dei lavoratori e, per questo motivo, ha sanzionato con una multa di €.100.000 la Regione Lazio, in qualità di datore di lavoro.

La vicenda nasce dalla segnalazione di un sindacato che aveva lamentato un monitoraggio posto in essere dall’amministrazione sulla posta elettronica del personale in servizio presso gli uffici dell’avvocatura regionale. Nel corso dell’istruttoria, l’ente pubblico aveva dichiarato di aver avviato una verifica interna sulla base del sospetto di una possibile rivelazione a terzi di informazioni protette dal segreto d’ufficio. Oggetto del monitoraggio, i metadati relativi ad orari, destinatari, oggetto delle comunicazioni, peso degli allegati.

Ma cosa sono i metadati di una mail?

Per metadati si intendono le informazioni relative alle chiamate o alle e-mail, piuttosto che a ciò che è contenuto in esse, come ad esempio il soggetto di una mail o di un messaggio di testo, il nome del destinatario, il momento in cui è stato inviato, la posizione in cui ci si trovava quando lo si è inviato.

La conservazione dei metadati non è strumentale allo svolgimento dell’attività lavorativa

L’Autorità ha accertato che la Regione aveva effettuato il monitoraggio del personale dell’avvocatura, in particolare dei dipendenti che inviavano messaggi a uno specifico sindacato, sfruttando i dati conservati per generiche finalità di sicurezza informatica per 180 giorni, in assenza di idonei presupposti giuridici e violando così i principi di protezione dei dati e delle norme sul controllo a distanza.

Nel provvedimento, l’Autorità ha chiarito che la generalizzata raccolta e l’estesa conservazione dei metadati della posta elettronica (che, come forma di corrispondenza, è tutelata dalla Costituzione) non sono strumentali allo “svolgimento della prestazione” del dipendente.

In questi casi, infatti, il datore deve avviare le specifiche procedure di garanzia (accordo sindacale o autorizzazione pubblica) previste dalla Legge. Il trattamento di dati personali posto in essere ha, tra l’altro, consentito al datore di lavoro di entrare in possesso di informazioni relative anche alla sfera privata dei dipendenti, a partire dalle loro opinioni, contatti e fatti non attinenti all’attività lavorativa. E ciò è considerato illegale.