All’interno del gruppo di norme disciplinanti il contratto a tempo determinato, l’art. 20 D.Lgs. 81/2015, è la norma che stabilisce precisi divieti all’apposizione di un termine ai contratti di lavoro.

Infatti, la norma citata sancisce come l’apposizione di un termine alla durata di un contratto di lavoro subordinato non è ammessa:

  • a) per la sostituzione di lavoratori che esercitano il diritto di sciopero;
  • b) presso unità produttive nelle quali sia proceduto, entro i 6 mesi precedenti, a licenziamenti collettivi ( 4 e 24 L. 223/91) che abbiano riguardato lavoratori adibiti alle stesse mansioni cui si riferisce il contratto di lavoro a tempo determinato, salvo che il contratto sia concluso per provvedere alla sostituzione di lavoratori assenti o abbia una durata iniziale non superiore a 3 mesi;
  • c) presso unità produttive nelle quali siano operanti una sospensione del lavoro o una riduzione dell’orario in regime di cassa integrazione guadagni, che interessano lavoratori adibiti alle mansioni cui si riferisce il contratto a tempo determinato;
  • d) da parte di datori di lavoro che non abbiano effettuato la valutazione dei rischi in applicazione della normativa di tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori.

L’art. 20 D.Lgs. 81/2015, poi, dichiara come la sanzione per la violazione del divieto citato sia la trasformazione del contratto stesso in un contratto a tempo indeterminato.

In merito, pertanto, sono possibili due osservazioni.

In primo luogo, il punto c) dell’art. 20 D.Lgs. 81/2015 chiarisce puntualmente come non sia possibile l’apposizione di un termine ad un contratto di lavoro nelle unità produttive nell’ambito delle quali siano attive misure di integrazione salariale (cassa integrazione guadagni ordinaria, straordinaria, interventi del fondo di integrazione salariale o di fondi alternativi, cassa integrazione guadagni in deroga). Tale divieto, pertanto, agisce nell’ambito delle unità produttive interessate da una eventuale sospensione o riduzione dell’orario di lavoro e non coinvolge l’azienda nella sua globalità. Ciò a significare che là ove vi siano unità produttive non coinvolte da misure di integrazione salariale non risulta preclusa l’apposizione di un termine al contratto – nel rispetto della disciplina di cui al D.Lgs. 81/2015 – sia nella sottoscrizione di nuovi contratti sia quando vengano prorogati o rinnovati quelli in corso.

In seconda analisi, lo stesso punto c) dell’art. 20 D.Lgs 81/2015 ammette l’apposizione del termine nelle situazioni sopra riportate (quindi nuovo contratto, proroga e rinnovo) purché i lavoratori interessati non siano adibiti a mansioni riconducibili alle medesime svolte dai lavoratori per così dire “cassa-integrati”.

Orbene tale contesto richiede una estrema attenzione e precauzione nella sua attuazione poiché l’adibizione a mansioni diverse – anche se puntualmente citata – potrebbe prestare il fianco al concetto di equivalenza delle stesse (tema questo a cui la giurisprudenza è sempre rimasta sensibile).

Tornano alla questione del divieto di apposizione di un termine a contratti di lavoro presso unità produttive interessate da misure integrative del salario vi è però da osservare che, nell’attuale fase emergenziale da Covid-19, il legislatore non si è dimostrato insensibile e all’atto della conversione in legge del c.d. Decreto Cura Italia (DL 18/2020 conv. in L. 27/2020) ha introdotto, nel complesso dettato normativo, l’art. 19-bis DL 18/2020 conv. in L. 27/2020, chiarendo come i datori di lavoro possano accedere agli ammortizzatori sociali su tutto il territorio nazionale sino al mese di agosto 2020 anche qualora, nel corso del medesimo periodo, abbiano proceduto, a far data dal 24 febbraio 2020, o procedano al rinnovo o alla proroga dei contratti a tempo determinato in corso, in deroga alle previsioni di cui agli artt. 20, c. 1 lett. c), 21, c. 2 e art. 32, c. 1, D.Lgs. 81/2015.

Tale intervento normativo – definito di “interpretazione” ma che sembra non averne i canoni così come dettati dalla Corte Costituzionale – permette di superare quell’empasse che avrebbe visto estromessi dal mondo del lavoro quei lavoratori i cui contratti ormai spirati (o in scadenza) durante la fase di totale emergenza sanitaria senza poter – tra l’altro – accedere a nessun sostegno reddituale (fatta salva la Naspi qualora ne fossero sussistiti i requisiti).

Inoltre, con le previsioni del c.d. Decreto “Rilancio” (art. 93 DL 34/2020), al fine di far fronte alla ripresa delle attività nella “Fase 2”, viene ammessa, in deroga all’art. 21 D.Lgs. 81/2015, la possibilità di rinnovare o prorogare fino al 30 agosto 2020 i contratti di lavoro subordinato a tempo determinato in essere anche in assenza delle condizioni di cui all’art. 19, c. 1, D.Lgs. 81/2015.