L’ultimazione delle opere edili non è sufficiente a configurare un giustificato motivo di recesso, salvo che il datore di lavoro non dimostri l’impossibilità di utilizzare i lavoratori in altre mansioni compatibili.
Così ha stabilito la Corte di Cassazione con la sentenza n.6916 del 11 marzo 2021.
Nel caso di specie, un lavoratore era stato licenziato per giustificato motivo oggettivo in seguito alla chiusura del cantiere nel quale lavorava; il completamento dei lavori residui era stato affidato ad un’altra società in subappalto e, secondo il datore di lavoro, non c’era possibilità di ricollocazione del dipendente, data la grave situazione di crisi della società.
La Corte di Appello aveva però evidenziato che la chiusura del cantiere avrebbe integrato una ragione di ordine organizzativo o produttivo del licenziamento soltanto se il lavoratore fosse stato assunto per essere impiegato in quell’unico sito; invece, il lavoratore era stato assunto per fare parte dell’organico permanente dell’impresa, anche con possibilità di compiti e mansioni fuori sede, e l’attività aziendale era comunque proseguita con altri cantieri rimasti attivi.
Rilevando quindi che, nonostante la chiusura e il licenziamento dei soli addetti di quel cantiere, l’attività aziendale era continuata, la Cassazione ha respinto il ricorso della società e ha confermato l’annullamento del licenziamento intimato al dipendente e la sua reintegra nel posto di lavoro.
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